Paolucci lavorò fin da piccolo come pastore transumante. Dopo l’arruolamento nell’esercito e la guerra, emigrò per quasi un decennio in Argentina, per poi ritornare nella nativa Frosolone. Nella sua masseria realizzò in quarant’anni un personale museo di pietra, con un centinaio di sassi lavorati o semplicemente «riconosciuti» e collocati. Le pietre, che ricordano animali e figure umane, erano per lo più disposte intorno alla casa e su un muro di cinta. Riteneva che crescessero sottoterra e fossero state portate in superficie, durante i lavori della terra, dai contadini del passato.
La storia di Paolucci è analizzata da Elisabetta Silvestrini, Il museo di pietra. La raccolta litica dell’artista popolare Pasquale Paolucci, «La Ricerca Folklorica», 24, 1991, pp. 37-43 e citata in Gabriele Mina (a cura di), Costruttori di Babele. Sulle tracce di architetture fantastiche e universi irregolari, elèuthera 2011.
Foto: Giuseppe Santagata [2011]